Amo il musical, e gli amici che lo sanno, spesso mi invitano quando "vanno a Milano" per vedere qualcosa.
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Ieri, quindi, atto unico di "
I Promessi Sposi" di Michele Guardì, a San Siro, siamo partiti con un pullman di appassionati da Cesana Brianza verso Milano.
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Ero seduta, guardavo fuori dal finestrino e pensavo al viaggio di Lucia e di Renzo che da Lecco andavano verso Milano, come nella storia del romanzo, e, lo so che sembra stupido, ma sembrava ci accompagnassero in quel percorso, così come ci avrebbero accompagnato, con uno spirito diverso, al ritorno.
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Il palco a San Siro, all'arrivo, toglie il fiato per l'emozione. Quasi tutto il campo di calcio è coperto dal palco e dalle poltroncine "platea". Il palcoscenico è enorme, formato da tre piattaforme rotanti, una centrale più ampia e due più piccole di fianco.
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C'è il sole, e meno male, che sono messa maluccio con raffreddore e malanni vari, e fino a ieri pioveva a dirotto, ma questo spettacolo non me lo sarei perso per nulla al mondo.
Osservo la striscia di cielo sopra San Siro, di quell'azzurro che "solo i cieli di Lombardia..." e quella luce del tramonto che scende piano piano sullo stadio ...
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C'è eccitazione, la sensazione di assistere ad un evento unico. Si, perchè lo spettacolo verrà replicato a fine luglio ad Agrigento e a fine anno agli Arcimboldi, ma è la prima per San Siro, e credo sia anche la prima volta in assoluto che San Siro ospita un'opera.
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Si abbassano le luci, si va a cominciare.
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Tre ore di spettacolo, con una piccola sosta tra primo e secondo atto. Tre ore in cui si viene catturati, sempre più dentro la storia, sempre più dentro la scena.
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Ogni personaggio è caratterizzato da una sua melodia, che lo rappresenta e che si intreccia con quelle degli altri protagonisti quando si incontrano nei duetti.
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Le scene si aprono come immagini di quadri, statiche, e pian piano si animano, e pare di assistere a quadri viventi, a piccoli presepi che piano piano prendono vita. I costumi sono piccoli capolavori.
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E non sono "i promessi sposi" come me li ricordavo a scuola, noiosi come tutte le cose che si è obbligati a studiare: sono belli, freschi, allegri. Mi accordo di strizzare le mie celluline grigie per tirare fuori i ricordi di gioventù e ricordare le scene principali e mentre le rivedo la memoria cambia colore, come se la musica di questa opera desse una riverniciata a qualcosa che stava sparendo.
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Le scene sono tutte belle, ma c'è un'emozione particolare nell'addio ai monti, con la barca che sembra solcare il lago, su un palcoscenico che due secondi prima pareva di legno, e poi la stupenda Monaca di Monza, il Don Rodrigo, la conversione dell'Innominato, la madre di Cecilia, fino alla scena finale, con quel "Padre Nostro" e la pioggia (vera, si sono proprio lavati!) che salva Milano dalla peste.
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Avrei voluto fare rewind, rivedere tutto ma dovrò aspettare a settembre, quando faranno vedere sulla Rai la registrazione di ieri.
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E sono uscita da San Siro con una musichetta nella testa che anche oggi non mi abbandona, e canticchio "Ecco Milano, la grande macchina del duomo ... dove la vita ti appartiene ...", e una gran voglia di riprendere in mano il libro de "I promessi sposi", da rileggere, e da gustare...
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