Sarei rimasta ore a guardarli.
Si tuffavano in acqua per un pezzo di pane, quell'acqua fredda e scura come lo è solo l'acqua del lago.
Alzavano spruzzi bianchi su acqua nera, e riflettevano tra le ali gli ultimi raggi di un inaspettato tiepido sole di inverno.
Arrivavano da ogni ansa del lago, veloci, ordinati, tagliando l'aria come se trattenessero il respiro.
E una volta arrivati, si tuffavano, diretti, senza prendere le misure, in mezzo a centinaia di altri gabbiano che già pasteggiavano. Erano centinaia, forse migliaia, e nessuno scontro, quasi che le loro voci li proteggessero come scudi.
Li avrei guardati per ore, in questo finto gioco di cattura, in cui li si attira a riva, ma non li si cattura mai davvero.
Un po' come fa il lago, con chi lo ama: lo fa avvicinare, gli nutre l'anima, ma non lo vuole per se, non lo cattura: lo lascia andare.
Un lago che si porta appresso, nelle immagini, nei sogni, nei suoni, nelle luci e nelle ombre.
Soprattutto nei silenzi ...
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