giovedì 21 agosto 2008

El Hierro

El Hierro, 20 agosto 2008
(scritto sulla veranda del Parador, mentre guardavo l'oceano, con il sottofondo del rumore delle onde e copiato il giorno dopo).
Con lo stomaco che mi sfiorava la gola, alle cinque di stamattina mi chiedevo chi me l'avesse fatto fare di prenotare la vacanza nella vacanza a El Hierro, alzarsi presto per il volo delle 7.30, guidare fino all'aeroporto di Gran Canaria ... tutte cose che mi sarei evitata stando a nanna a dormire.
Ma già al check in le risposte cominciavano ad arrivare: pochi turisti, molti abitanti del posto, o lavoratori, con le cassette degli attrezzi o musicisti con gli strumenti musicali, molti bimbi.
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perchè El Hierro non è un posto di divertimento, ma un posto dove si sta molto con se stessi, nella natura che sembra infinita, senza fili elettrici: l'isola, per buona parte non è coperta da segnale di cellulare. In compenso è ricoperta di natura, piante, animali, vento, cielo, terra e oceano.
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Freddo all'arrivo, tempo "nublado" e ventoso, 21 gradi, gelo quando ho scoperto che avrei dovuto guidare un Volvo V40 (ma automatica!), 2400 di cilindrata, 6 cilindri, credo l'auto più potente che io abbia mai guidato (a parte un singolo patetico episodio con la MG di Gabriella...).
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Priovvigginava stamattina e piovviggina adesso, che sono seduta sulla terrazza della mia camera al Parador di El Hierro, e vedo e sento e respiro le onde dell'oceano.
Nel mezzo una giornata di sole, passata a fare il giro dell'isola.
Da NE a SO e ancora NE, 175 km, la maggior parte su sterrato o su stradine strapiombanti senza protezione e con pochi slarghi per far passare due auto contemporaneamente.
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Dal Mirador di Cesar Manrique, giù fino a Las Puntas, al mini albergo di 3 camere che quando l'oceano è grosso resta isolato (e non è difficile crederlo), fino al Pozo de la Salud, con le acque minerali curative; poi giro dell'isola e arrivo al Faro del Meridiano Zero del tempo antico "gioia e tristezza degli abitanti di El Hierro che erano emigranti" (così recita una targa ricordo).
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Poi su, al Sabinar, a vedere i ginepri che crescono storti piegati dalla "cattiva compagnia" di un vento che sposta anche me, poi alla chiesetta de la Virgin, patrona dell'isola, (dove abbiamo acceso una candela per Giurgin, che ci ha lasciato mentre noi non eravamo a casa, e non abbiamo potuto salutarlo, ma si sa che le distanze, quando si entra in chiesa, si azzerano...)
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Poi a El Pinar, con una pineta di pini canari fantastica, per la verità un po' sbruciacchiata per gli esisiti, evidenti, di un incendio recente.
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Poi, finalmente, alle quattro del pomeriggio, alla Restiga a mangiare il pesce, dove Daniele si è pure pappato la murena e dove io mi sono rifiutata persino di averla nel piatto.
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Poi di nuovo su, tra un mirador e l'altro, a vedere l'oceano dall'altro, giretto finale a Valleverde (il paese dove vivo io è più grande, e questa è la capitale di un'isola ...) e infine arrivo al Parador, dove abbiamo trovato ad aspettarci, oltre a uno staff di persone molto professionali e cordiali, anche una meravigliosa stanza sull'oceano.
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El Hierro è un'isola che ha un cuore, suo, una magia speciale che cattura l'ansia, lo stress, che ricarica, che ti fa "rassegnare" dalle corse inutili, dagli sforzi e dalle corse senza capo nè coda ...
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E ti rimanda a casa cambiata.

1 commento:

Sara ha detto...

..si deduce indiscutibilmente che è un paradiso.. fantastico *_*